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Archeologia subacquea nel crotonese

Archeologia marittima

LUNGO LE ANTICHE ROTTE DEL MARMO : ARCHEOLOGIA SUBACQUEA NEL CROTONESE

di Salvatore Medaglia e Carlo Beltrame

Nei giorni scorsi si è conclusa nelle acque di Capo Rizzuto (Crotone) la prima campagna di ricerca archeologica subacquea su un relitto romano naufragato sulle secche antistanti Capo Bianco. Le indagini, autorizzate dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, sono state effettuate da una equipe di archeologi sotto la condirezione tecnico-scientifica dei professori Carlo Beltrame (docente di Archeologia marittima presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia) e Salvatore Medaglia (docente di Archeologia subacquea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Seconda Università degli Studi di Napoli). Ai lavori hanno partecipato un gruppo di studenti del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e del Dipartimento di Scienze del Mondo Antico dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo. Un fondamentale apporto tecnico è stato fornito dai subacquei del gruppo Reitia Onlus di Conegliano (Treviso), guidati dal dott. Duilio Della Libera e specializzati in tecniche per la documentazione subacquea a carattere archeologico. Fine della ricerca era quello di documentare il relitto romano col suo carico composto da un variegato campionario di marmi semi-lavorati. A questo proposito, dopo aver ripulito l’area e numerati i manufatti, ne è stata realizzata la schedatura secondo appositi criteri scientifici. In seguito è stato approntato un fotomosaico e sono iniziati i rilievi topografici. Gli elementi lapidei, trasportati sotto forma di blocchi, lastre e colonne a fusto liscio, sono presenti in almeno tre varietà attribuibili ad altrettante aree di estrazione: il nero, il rosso ed il bianco. Allo scopo di individuare le relative cave e di tracciare al contempo la rotta che probabilmente seguì la nave è stata effettuata la campionatura completa di tutti i manufatti in maniera tale che il professor Lorenzo Lazzarini, del Dipartimento di Storia dell’Architettura dell’Università IUAV di Venezia e direttore del L.A.M.A. (Laboratorio di Analisi dei Materiali Antichi), possa realizzare apposite indagini petrografiche sui litotipi (sezioni sottili, analisi isotopiche).
Tra gli obiettivi primari assunti dagli archeologi figurano anche quelli finalizzati alla comprensione delle dinamiche del naufragio, al calcolo del tonnellaggio della nave ed alla ricostruzione di un modello ipotetico della tecnica di stivaggio. Le onerarie adibite al lucroso trasporto dei marmi - chiamate dai romani
naves lapidariae - erano infatti imbarcazioni di cui si conosce ancora troppo poco soprattutto dal punto di vista architettonico e costruttivo. Il relitto di Capo Bianco, affondato su un fondale di appena 4,5 metri, fa parte di un nutrito gruppo di imbarcazioni lapidarie naufragate lungo la costa del crotonese. A questo proposito si può senz’altro asserire che il litorale tra Capo Colonna e Le Castella costituisce uno dei poli a maggiore concentrazione di relitti con marmi dell’intero Mediterraneo a testimonianza di una consolidata rotta mercantile seguita dalle navi che in età romana dal Mediterraneo orientale trasportavano i preziosi marmi grezzi, lavorati e semi-lavorati principalmente alla volta del ricco mercato della capitale. La compravendita del marmo assunse infatti in età imperiale volumi senza precedenti e la sua fortuna va collegata al suo impiego quale paradigma sia della publica magnificentia sia della luxuria privata. Dalle varie cave - situate in tutto il mondo allora conosciuto e progressivamente incamerate nel demanio imperiale per poi essere date in appalto (ex ratione) a liberti imperiali o a privati - i manufatti lapidei raggiungevano a bordo di navi di proprietà privata appositamente noleggiate le stationes marmorum dove poi erano smistati a seconda del fabbisogno dai negotiatores marmorarii. Le indagini a Capo Bianco risultano molto complesse in quanto al relitto che trasportava marmi se ne è parzialmente sovrapposto dopo molti secoli un altro, indicativamente databile tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Anche questo secondo naufragio va dunque adeguatamente documentato considerando che l’area interessata dai suoi resti, comprendenti tra l’altro elementi dell’artiglieria di bordo, è alquanto vasta.La prossima estate, con il benestare della Soprintendenza, potrebbe avere luogo la seconda campagna di indagini con la quale si potrà arrivare allo studio completo del giacimento archeologico.

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