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Isola di Ventotene

Archeologia marittima

ISOLA DI VENTOTENE (LT)

Le Isole Pontine , generate da un tremito vulcanico , sono separate dalle acque del Tirreno centrale in due piccoli gruppi. Ponza, Gavi, Palmarola e Zannone a ovest, Ventotene e Santo Stefano a est , arcipelago nell’arcipelago, posti particolari, il cui destino è stato nei secoli condizionato dalla loro stretta vicinanza geografica. Sono state luoghi d’esilio e di incarceramento fin dai tempi antichi, portando alle estreme conseguenze la condizione insulare dell’abbandono e dell’isolamento. L’isola grande di Ventotene, l’antica Pandaria, luogo d’esilio fin dal I° secolo a.C. di componenti della famiglia imperiale, rei di dissolutezza. Spetta infatti a Livia Drusilla Claudia, figlia dell’ Imperatore, inaugurare nel 2 a.C. la serie di illustri esili isolani, rei di aver violato la Lex Julia sulla moralizzazione pubblica emanata qualche anno prima dall’Augusto padre. Accanto alle dimore residenziali di cui la Villa di Punta Eolo rappresenta la più nota, numerosi monumenti testimoniano ancor’oggi gli splendori di quegli anni. Le cisterne di alimentazione dell’acquedotto, la necropoli, il porto e la peschiera, scavata e intagliata nel tufo secondo le indicazioni del costruttore Columella. Vasche sovrastate da archi, collegate da canali che permettevano il ricambio dell’acqua e l’allevamento di diverse specie di pesci. Nell’area antistante piccole coppelle incise nel tufo permettevano la raccolta del sale dalle acque marine, producendo la materia prima alla base della conservazione del pesce. Il porto romano e il suo bacino, anch’esso scolpito nel tufo, mostra ancora oggi fibule e bitte per l’ancoraggio delle navi, una piccola insenatura al suo ingresso, il Pozzillo per l’alaggio e la manutenzione delle imbarcazioni e una lunga banchina su cui si affacciano i magazzini portuali. Punta Eolo infine con il suo mare , collezionista geloso delle rovine della villa Giulia, della sua grandezza e splendore imperiale. Dall’era imperiale romana l’isola di Ventotene conobbe per secoli l’isolamento mistico di frati e asceti, interrotto solo da periodiche incursioni dei predoni dell’Islam. In età Borbonica la piccola isola di Santo Stefano divenne un luogo di esilio e di pena con la costruzione del penitenziario in grado di ospitare nel periodo di maggior sviluppo oltre mille ergastolani. Il carcere di Santo Stefano, voluto da Ferdinando IV di Borbone realizza il modello del carcere panottico, una struttura circolare con una forte valenza disciplinare accentuata dall’orientamento delle celle verso l’interno della struttura e dal controllo a vista esercitato dalle guardie in ogni momento della detenzione. Attorno all’isola e alle sue ripide pareti a picco sul mare il mare cela relitti antichi svelati da sparse cocciaie e rari ceppi d’ancora.

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